CONTRIBUTO SCIENTIFICO
10 Aprile 2020
EMERGENZA CORONAVIRUS E RESPONSABILITÁ PENALE DEGLI OPERATORI SANITARI
1. Emergenza coronavirus e fenomeno dello “sciacallaggio” in danno dei medici: i profili di responsabilità disciplinare e le proposte di immunità penale a favore degli operatori sanitari
In un momento delicato ed emergenziale quale quello attuale determinato dall’epidemia del COVID-19 sono state segnalate plurime forme di promozione professionale realizzate da alcuni professionisti e studi legali, pubblicate on line ed in particolare tramite social network, volte a sollecitare azioni giudiziarie e ad offrire servizi di assistenza e consulenza legale, a titolo gratuito e con garanzia di risultati, ai familiari delle vittime da Coronavirus, per l’ottenimento del risarcimento del danno nei confronti delle strutture sanitarie e degli esercenti la professione sanitaria. Tali promozioni pubblicitarie, fuorvianti e non veritiere, ingenerano discredito sull’intera Avvocatura, di cui ledono gravemente la dignità, l’onore, il decoro e l’integrità, con violazione delle norme deontologiche di cui alla Legge 31.12.2012 n 247 e Regolamento C.N.F. 21.02.2014 n 02, che ispirano l’esercizio della professione forense. Esse sono state segnalate con forza dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCEO) al CNF, il quale con delibera del 1.4.2020 ha assicurato di intervenire prontamente e di sanzionare ogni condotta integrante grave violazione dei principi etici condivisi che informano l’Avvocatura. Tali pratiche di “sciacallaggio” frustrano, con ogni evidenza, i principi deontologici generali, necessari ed essenziali per la realizzazione e la tutela dell’affidamento della collettività e della clientela (art. 1 Codice Deontologico Forense).
A cìò s’aggiunga la violazione del dettato di cui all’art. 9 C.D.F., disciplinante il dovere da parte dell’Avvocato, di esercitare l’attività professionale con lealtà, correttezza, probità, dignità e decoro, tenendo conto del rilievo sociale della difesa e, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza che, nel caso di specie, risulta totalmente disattesa. Altre norme deontologiche che tali sedicenti professionisti violano con il proprio comportamento, riguardano l’informazione fuorviante resa che, di contro, ex art. 17 e 35 C.D.F., deve essere trasparente, corretta, non equivoca, non ingannevole ovvero suggestiva. Risulta inoltre violato il disposto di cui all’art. 37 C.D.F. che vieta l’accaparramento di clientela con tali modalità, non conformi alla correttezza ed al decoro della professione di Avvocato. Le iniziative in oggetto, volte a trasformare la pandemia in atto in occasioni di business, integrano inaccettabili condotte speculative del dolore e difficoltà altrui, e risultano altresì gravemente pregiudizievoli per i medici e i professionisti sanitari, già duramente provati dall’emergenza epidemiologica. Questi ultimi, infatti, hanno rappresentato a più riprese le drammatiche e difficili condizioni in cui, ogni giorno con coraggio e umanità, si trovano a prestare il proprio servizio, nonché la profonda carenza di risorse organizzative e personali, di fatto inidonee a fronteggiare un virus infimo ed invisibile, contro cui allo stato non esiste un vaccino, richiedendo a gran voce al Governo di intervenire con provvedimenti di concreto sostegno economico e strutturale nonché di tutela degli esercenti la professione sanitaria. Ebbene a fronte di tali istanze sono state formulate in questi giorni varie proposte di emendamento al Decreto “Cura Italia” D.L. n. 18/2020, volte ad introdurre, a diversi livelli, una limitazione di responsabilità, sia sotto il profilo penale che civile, per i professionisti sanitari e le aziende del SSN impegnati nell’emergenza attuale. Con particolare riferimento ai rilievi penalistici, l’eventuale approvazione dello “scudo penale” oggetto di emendamento comporterebbe in via generale la non punibilità dei medici e sanitari per il proprio operato, fatta salva la responsabilità dei medesimi per le condotte dolose, e ferma altresì – stando all’analisi puntuale di alcune proposte avanzate dalle forze politiche – la responsabilità penale per “colpa grave”. Precisamente il testo del cd. Emendamento Marcucci, che ad oggi sembra aver ricevuto il parere favorevole del Governo, stabilisce, sia per i medici che per i funzionari apicali delle strutture sanitarie, la “non punibilità in sede penale di condotte sanitarie non caratterizzate da colpa grave consistente nella macroscopica e ingiustificata violazione dei principi basilari che regolano la professione sanitaria o dei protocolli o programmi emergenziali predisposti per fronteggiare la situazione in essere». Appare evidente che tale emendamento fornirebbe in realtà una forma blanda di tutela nei confronti dei singoli medici che si trovano ad operare in condizioni di estrema difficoltà e drammaticità, caratterizzate da sovraccarico di lavoro e da gravi carenze di risorse. Alla luce di tali considerazioni, in questo particolare contesto emergenziale appare doveroso, per gli operatori del diritto, svolgere una riflessione sulla normativa attualmente vigente in materia di responsabilità medica, da condurre anche in una visione comparatistica con altri ordinamenti, e ciò al fine di comprendere i profili di responsabilità ad oggi attribuibili rebus sic stantibus agli esercenti la professione sanitaria, e valutare la necessità di un intervento normativo ad hoc concretamente idoneo a garantire tutela ai medici e agli operatori sanitari impegnati con coraggio e professionalità nell’emergenza epidemiologica.
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2. L’evoluzione normativa della responsabilità medica penale nell’ordinamento italiano
2.a L’attuale e perdurante emergenza sanitaria determina un quotidiano raffronto tra contrapposti diritti e doveri, tutti ugualmente degni di essere salvaguardati e assicurati; da una parte il diritto alle cure e alla salute del paziente, dall’altro il diritto/dovere dei sanitari di prestare la propria opera in sicurezza e potendo contare su risorse umane e strumentali, che consentano loro di intervenire nelle migliori condizioni.
La drammaticità degli eventi che hanno recentemente sconvolto le nostre comunità rende necessario e utile, ora più di prima, riflettere e eventualmente ripensare agli strumenti giuridici che il nostro ordinamento prevede a tutela delle diverse posizioni soggettive.
Fatta questa doverosa premessa, il presente contributo ha una finalità prettamente scientifica, ovvero quella di ripercorrere l’evoluzione normativa che negli ultimi anni ha riguardato la responsabilità professionale del medico.
Il particolare interesse del Legislatore verso questa professione intellettuale va ricercato, con ogni probabilità, nella rilevanza dei diritti che il sanitario deve tutelare, ovvero il diritto alle cure e alla salute del proprio paziente.
È evidente che, nella maggior parte dei casi – e fatta salva la rilevanza penale di eventuali condotte dolose di rara verificazione – la responsabilità penale del medico potrà essere invocata quando il professionista abbia cagionato per sua colpa un danno al paziente, violando prestabiliti precetti cautelari.
Il riferimento è a condotte attive o omissive negligenti, imprudenti, o imperite (colpa generica), o realizzate violando specifiche disposizioni normative e/o regolamentari (colpa specifica), che abbiano causalmente determinato l’evento dannoso.
Nello specifico, il medico potrebbe essere ritenuto responsabile del reato di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) o, nei casi più estremi, di omicidio colposo (art. 589 c.p.) quando con la propria condotta abbia innescato un processo morboso, o, addirittura, provocato il decesso del proprio paziente.
Diverse sono le tipologie di errori in cui il sanitario potrebbe incorrere: dall’omessa-errata o ritardata diagnosi di una patologia, fino all’errore chirurgico e/o terapeutico.
Ed è proprio l’ampiezza e diversità della casistica, che caratterizzano la professione medica, ad aver indotto il Legislatore ad intervenire a più riprese, senza che nessuna delle soluzioni adottate, a parere di chi scrive, abbia raggiunto gli scopi prefissati.
2.b. È opportuno prendere le mosse dalla disciplina introdotta dalla c.d. L. Balduzzi n. 189/2012 (di conversione del D.L. n. 158/2012), e in particolare dall’art. 3, comma 1, che così dispone: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
Tale normativa ha, quindi, operato una parziale decriminalizzazione dei reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. (omicidio colposo e lesioni colpose), quando l’evento sia conseguenza di una condotta medica connotata da “colpa lieve”, ovvero quando il sanitario abbia operato nel rispetto di precise linee guida e secondo prassi mediche, accreditate dalla comunità scientifica.
In altre parole, in base alla citata disposizione, il medico può rispondere penalmente solo in ipotesi di colpa grave, da intendersi come errore inescusabile, integrante una violazione principi elementari che informano l’esercizio di un’attività professionale, ferma restando la propria responsabilità sul piano civile.
Di qui i primi nodi interpretativi sui necessari distinguo tra “colpa lieve” e “colpa grave” in assenza di una disposizione normativa all’interno del codice penale, simile a quella contenuta nell’art. 2236 c.c. che traccia i confini della responsabilità civile del prestatore d’opera (quindi anche del medico), la cui prestazione implichi la “…soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave” (art. 2236 c.c.).
La cd. L. Balduzzi interviene proprio a colmare tale vuoto normativo, così offrendo una soluzione univoca rispetto agli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali diversi che da una parte ammettevano, dall’altra negavano, la rilevanza dell’art. 2236 c.c. in ambito penale.
L’apparente chiarezza del disposto normativo in commento non ha certamente agevolato la posizione del medico, ampliando notevolmente la discrezionalità del singolo Magistrato giudicante.
A questi è rimesso il compito di valutare la correttezza e l’attualità delle linee guida e delle prassi mediche invocate a propria discolpa dal sanitario e, dall’altro lato, a dover intrepretare concetti per loro natura estranei al sistema penale, quali le diverse graduazioni della colpa.
Le incertezze applicative sopra richiamate hanno indotto il Legislatore ad intervenire nuovamente sulla materia, a distanza di circa cinque anni, al fine di circoscrivere ulteriormente la responsabilità penale del medico e codificare linee guida e criteri interpretativi meno elastici.
2. c Si è giunti così all’introduzione della cd. legge Gelli-Bianco L. n. 24/2017, entrata in vigore l’1.4.2017, che con l’art. 6, ha introdotto all’interno del codice penale l’art. 590-sexies, rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”
Tale disposto normativo prevede: “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
La L. Gelli-Bianco ha, pertanto, codificato una causa di non punibilità operante – al ricorrere di certi presupposti – per la sola ipotesi di imperizia (da intendersi come mancanza di preparazione, insufficiente conoscenza tecnica), espungendo così ogni riferimento alla graduazione della colpa (diversamente da quanto operato precedentemente con la Legge Balduzzi)
L’art. 590-sexies c.p. dedica, inoltre, un trattamento differenziato ai diversi profili che possano innescare la responsabilità del sanitario; nello specifico, il medico potrà ancora oggi essere chiamato sul banco degli imputati, qualora la sua condotta sia stata connotata da negligenza (id est superficialità, trascuratezza, disattenzione: es. mancata rimozione di corpi estranei quali le garze in occasione di un intervento chirurgico), o da imprudenza (avventatezza, temerarietà).
In tali casi, per cui non opera la causa di punibilità introdotta con l’art. 590 sexies c.p., la difesa del medico potrà invocare l’applicazione della disciplina normativa di maggior favore per il reo ex art. 2, comma 4, c.p., ovvero la precedente cd. L. Balduzzi del 2012, quando la condotta del medico – commessa nel vigore della precedente legge – sia connotata da “colpa lieve”.
Al contrario, il sanitario può beneficiare della causa di non punibilità qualora, dopo aver correttamente individuato le linee guida adeguate al caso concreto e rispettato la loro esecuzione, abbia commesso un errore applicativo di limitata entità che abbia comunque determinato l’evento infausto (imperizia in executivis).
Ebbene al fine di affermare l’applicabilità al caso concreto della causa di non punibilità in ipotesi di “imperizia”, occorre dapprima verificare la scelta operata dal medico delle linee guida, o, in difetto, delle buone pratiche mediche, utili al trattamento di una determinata patologia e, soprattutto, accreditate nella comunità scientifica.
Deve trattarsi di linee guida previste e aggiornate all’interno dell’archivio SNLG (Sistema Nazionale delle Linee Guide), istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, elaborate non solo da società scientifiche (come prevedeva la L. Balduzzi), ma anche da enti privati di altra natura, soggetti a rigorosi controlli governativi.
Sul concetto di linee guida un chiarimento è stato fornito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 8870/2018, secondo cui si tratterebbe di “un condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo un’accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti”.
Dalla sentenza richiamata si traggono i seguenti precipitati logici, che il Legislatore ha poi normativizzato; il primo è che se l’errore del medico ricade sull’individuazione e scelta delle linee guida appropriate per il proprio caso, la condotta, così connotata da imperizia, avrà rilevanza penale (imperizia in eligendo).
Stesso dicasi per l’ipotesi in cui non vi siano linee guida per lo specifico caso clinico attenzionato, fermo restando che ogni condotta andrà valutata discrezionalmente dal Magistrato.
La seconda conseguenza, che si può trarre dal pronunciamento della Suprema Corte, è che il sanitario potrà rispondere penalmente ex art. 590-sexies c.p. anche qualora, pur avendo individuato e applicato linee guida “astrattamente” appropriate al caso, abbia comunque cagionato lesioni, o provocato il decesso del proprio paziente.
Ciò poichè la perizia del medico deve valutarsi anche alla luce delle peculiarità del caso concreto; in altri termini, l’astratta appropriatezza delle linee guida non implica necessariamente la loro applicabilità all’ipotesi specifica, quando, anzi, il sanitario dovrà discostarsene.
Ed infatti, al riguardo, la sentenza sopra citata prosegue in questi termini: “…In tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, le raccomandazioni contenute nelle linee guida definite e pubblicate ai sensi dell’art. 5 della legge 8 marzo 2017, n. 24 – pur rappresentando i parametri precostituiti a cui il giudice deve tendenzialmente attenersi nel valutare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza, perizia – non integrano veri e propri precetti cautelari vincolanti, capaci di integrare, in caso di violazione rimproverabile, ipotesi di colpa specifica, data la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto; ne consegue che, nel caso in cui tali raccomandazioni non siano adeguate rispetto all’obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente, l’esercente la professione sanitaria ha il dovere di discostarsene…”.
Ulteriore ipotesi in cui si può predicare la penale responsabilità del medico è ovviamente l’errata applicazione delle linee guida, o delle virtuose prassi accreditate, ovvero l’errore grave commesso per imperizia durante l’esecuzione di un trattamento chirurgico, o terapeutico in genere.
2.d Riassuntivamente, con la sentenza n. 8870/2018 la Suprema Corte di Cassazione riunita nel suo massimo consesso – pronunciatasi su un contrasto interpretativo sorto in relazione all’esatta individuazione dei confini della causa di non punibilità ex art. 590 sexies c.p. – è giunta ad affermare che l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica nei seguenti casi:
• se l’evento si è verificato per colpa anche lieve dettata da imprudenza o negligenza;
• se l’evento si è verificato per colpa anche lieve dettata da imperizia in 2 ipotesi:
• a) in quella di errore rimproverabile nell’esecuzione dell’intervento quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
• b) in quella di errore nell’individuazione della tipologia di intervento e delle relative linee guida (imperizia in eligendo) che non risultino adeguate al caso concreto o da cui avrebbe dovuto discostarsi pur essendo astrattamente appropriate;
• se l’evento si è verificato per colpa solamente grave dettata da imperizia nell’esecuzione dell’atto medico quando il medico abbia comunque scelto e rispettato le linee guida adeguate al caso concreto, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.
Le Sezioni Unite ritengono, infatti, che la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte del legislatore del 2017 non precluda una ricostruzione della norma che ne tenga conto avendo di fatto, con tale pronuncia, reintrodotto la distinzione tra colpa grave e colpa lieve.
Alla luce del quadro normativo sin qui delineato la difesa del sanitario, come accennato, potrà comunque invocare – al ricorrere dei presupposti – l’applicazione della disciplina pregressa di maggior favore, ovvero il regime normativo introdotto dalla cd. L. Balduzzi in presenza di specifiche ipotesi, come chiarito anche dalla sentenza de qua: “…In tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, l’abrogato art. 3 comma 1, del D.L. n. 158 del 2012, si configura come norma più favorevole rispetto all’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla legge n. 24 del 2017, sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve da negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve da imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto” (Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 8770 del 22 febbraio 2018).
Ebbene con particolare riferimento all’emergenza epidemiologica in atto, non risulta applicabile, a parere di chi scrive, l’ipotesi di non punibilità di cui all’art. 590 sexies c.p.
E ciò in quanto nel contesto emergenziale attuale – quale è la gestione clinico-sanitaria del paziente infetto da Covid-19 –si opera (e non può essere diversamente) in assenza di linee guida accreditate o, di buone pratiche clinico assistenziali universamente riconosciute come tali dalla comunità scientifica.
Certo, è pur vero che la comunità scientifica viene sollecitata a seguire talune best practice o meglio dei protocolli comuni per la gestione delle malattie infettive, ma è pur vero, come, allo stato, non si disponga di alcuna validazione scientifica sulla idoneità ed efficacia di tali protocolli sul fronte “infezione da COVID-19”.
Ne consegue che – al netto delle proposte di emendamento volte ad introdurre uno “scudo penale” per l’operato degli esercenti la professione sanitaria – a l fine di ritenere operante la causa di non punibilità di cui all’art. 590 sexies c.p. debbano essere emanate quanto prima dal Ministero della Salute direttive aventi ad oggetto le best practice a cui l’esercente una professione sanitaria debba attenersi nell’ambito delle prestazioni rese nel corso della cura di pazienti affetti da COVID-19.
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3. Responsabilità medica al tempo del Covid-19 ed esimenti
3.a Esistono situazioni nelle quali una condotta, che normalmente configurerebbe una fattispecie di reato, è considerata legittima, o comunque non punibile, in quanto commessa in presenza di una cosiddetta esimente.1
Per quanto concerne la responsabilità del sanitario, è ormai pacifico che a rilevare siano alcune ipotesi tipizzate nella categoria delle cause di giustificazione.
Nello specifico, essendo l’attività medica, per sua stessa natura, incidente sulle condizioni di salute del soggetto sottoposto alle cure, è chiaro che l’attività, ad esempio chirurgica, del sanitario, sarà coperta da una causa di giustificazione, nello specifico il consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p.
Entrando nel merito del caso che ci occupa, ovvero l’eventuale responsabilità penale derivante dal non aver, il sanitario, tutelato efficacemente i pazienti ricoverati a loro affidati dal contagio da Covid 19, ci troviamo al cospetto di una ipotesi che pone diverse problematiche ermeneutiche.
Pur essendo in discussione una proposta normativa volta a creare uno “scudo penale” per i sanitari coinvolti dal problema, occorre interrogarsi, su come, allo stato attuale, possa comunque essere riconosciuta tutela a tutti coloro i quali si siano trovati in prima linea ad affrontare un’emergenza sanitaria imprevedibile e dagli effetti devastanti.
Non esistendo ad oggi una norma specifica e non potendo essere rinvenuti precedenti giurisprudenziali, si tenterà di procedere ad un’interpretazione delle norme esistenti, conforme a quelli che sono i principi di civiltà giuridica cui il nostro ordinamento è informato, facendo altresì uso di buon senso e logica giuridica, onde individuare degli strumenti di tutela.
Occorre, ad ogni buon conto, dare atto al Legislatore che, nel redigere il testo dell’attuale codice penale, ha inserito delle norme che consentono, tramite interpretazione adeguatrice, di essere adattate a situazioni che all’epoca della redazione non era possibile prevedere.
In questa cornice si inserisce l’art. 45 c.p., a norma del quale “Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore.”
L’emergenza sanitaria in atto, originata da un agente patogeno virale, il Covid 19, avente caratteristiche e fenomenologie del tutto sconosciute, pare potersi fortemente collegare a quelle circostanze che hanno indotto il legislatore del 1930 a prevedere la suddetta esimente.
Infatti l’art. 45 c.p. vede la propria genesi in un particolare momento storico, in cui si inizia a comprendere l’esistenza di una vastissima fenomenologia scientifica che l’uomo non è sempre in
grado di governare e prevedere. Pertanto è lo stesso Legislatore che con la previsione de qua, richiede di agganciare la responsabilità penale a fattori che siano direttamente dominabili dal soggetto agente.
A questo punto, partendo dal presupposto ipotetico che i sanitari abbiano rispettato i protocolli di sicurezza e di prevenzione ordinariamente previsti, sorge spontaneo un interrogativo.
Avrebbe potuto, il personale sanitario prevedere, ma soprattutto prevenire la situazione emergenziale venutasi a creare? Ed in ogni caso, avrebbe potuto dominarla allo stato delle conoscenze attualmente disponibili?
Essendo, a parere ormai unanime degli esperti, una situazione che non poteva essere diversamente affrontata dal personale sanitario, la risposta non potrà che essere negativa. Forse si potrebbe discutere di quello che si sarebbe potuto o dovuto fare di diverso a livello di Stato centrale, ma un tanto esula dalla presente trattazione.
Dato quindi come assunto, l’imprevedibilità ma ancor più la non prevenibilità, e la non dominabilità del fenomeno, occorre ora approfondire il concetto di caso fortuito e forza maggiore contenuto nell’art. 45 c.p.
Per la dottrina maggioritaria (tra gli altri Fiandaca e Antolisei), la forza maggiore può essere qualificata come fattore che determina assenza di coscienza e volontà, non essendo pertanto possibile predicare la suitas di una condotta.
Per quanto concerne invece il caso fortuito, si ritiene di far riferimento alla teoria del Licci, il quale lo riconduce alla oggettiva non prevenibilità (si badi “prevenibilità”, cosa diversa da “prevedibilità”).
A questo punto, rinviando alle “Teorie” del Licci, è possibile asserire che il faro che ha orientato la previsione dell’art. 45 c.p., evitando di scinderlo in due ipotesi del tutto distinte, ma dandone una lettura unitaria e complementare, è il concetto della non dominabilità della situazione, intesa come non prevenibilità e non resistibilità.
In giurisprudenza inoltre, seppur in relazione ad ipotesi fattuali completamente diverse, è stato delineato il concetto di forza maggiore, individuandolo come “evento di origine naturale od umana imprevedibile o, anche se preveduto, inevitabile…”(Cass. pen. Sez. III, 19/11/2014, n. 51436)
Alla luce di quanto sopra, tenendo ben presente che si tratta di conclusioni non suffragate da riscontri giurisprudenziali, si ritiene di poter ipotizzare che non dovrà essere ritenuto responsabile – dei reati connessi al contagio ospedaliero, derivante da Covid 19, di pazienti precedentemente ricoverati – il sanitario che pur avendo adottato i protocolli di sicurezza previsti, non sia riuscito ad impedirlo, essendo nel caso di specie, sussistente l’esimente di cui all’art. 45 c.p.
3.b Occorre inoltre aprire una breve parentesi su un’ulteriore situazione potenzialmente foriera di profili di responsabilità penale per i sanitari coinvolti nella gestione dell’emergenza di cui trattasi.
Il riferimento è al paventato rischio derivante dall’eccessivo numero di pazienti da sottoporre a cure di terapia intensiva, poiché il numero di posti nei reparti attrezzati a tal fine, è considerevolmente inferiore al fabbisogno venutosi a creare. Qualora dovesse verificarsi l’infausta situazione in cui dovesse essere demandata al medico intervenuto, la scelta relativamente a chi privilegiare nelle cure, si porrebbe il problema della responsabilità del medico nei confronti del paziente pregiudicato dalla scelta.
Occorre a questo punto chiedersi se la fattispecie ipotizzata, a determinate condizioni, possa trovare albergo nell’alveo delle cause di giustificazione, ed in particolare nello stato di necessità, tipizzato nell’art. 54 c.p. o nell’adempimento del dovere ex art. 51 c.p.
L’art. 54 c.p. recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo”.
L’art. 51 cp recita invece: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.
Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.
Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.
Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine”
L’ipotesi che ci occupa può essere inquadrata in quella fattispecie che dottrina e giurisprudenza identificano come “soccorso di necessità”.
Sul punto non è affatto semplice individuare una linea ermeneutica ben definita e ciò per diversi ordini di ragioni. Primo fra tutti si pone il problema di dover giustificare quella che normalmente definiremmo decisione abnorme o assurda, in quanto il medico, per salvare la vita di un paziente, dovrebbe staccare, ad esempio, il respiratore ad un altro paziente che avrebbe meno possibilità di salvezza, così andando ad incidere su un soggetto terzo che in alcun modo era coinvolto nella successione causale degli eventi che avevano posto in pericolo il bene della vita dell’altro paziente.
Ritiene chi scrive che, aprire le porte ad un uso della scriminante in questione, che possa spingersi fino a questo punto, sia estremamente pericoloso per il precedente che creerebbe.
Ferma l’auspicabilità della previsione di un’esimente ad hoc, si ritiene che allo stato, la scelta cui potrebbero essere costretti i medici a causa dell’emergenza, potrebbe trovare tutela nella scriminante dell’adempimento del dovere ex art. 51 cp .
Trovandoci anche in questo caso a disquisire di ipotesi del tutto eccezionale, l’unica strada percorribile appare essere il ragionamento ermeneutico sistematico, sulla base delle norme di riferimento.
Il diritto alla salute è costituzionalmente garantito a tutti, ma nel caso di cui trattasi, viene a trovarsi in conflitto col dovere di curare i pazienti ricadente in capo al medico, il quale potrebbe venirsi a trovare nella oggettiva impossibilità di prestare le cure necessarie a tutti.
Il dovere del medico di prestare le cure necessarie non può certamente affievolire di fronte all’atrocità della scelta cui potrebbe essere chiamato e pertanto si ritiene che tale dovere debba necessariamente estrinsecarsi nel prestare le cure al paziente con maggiori possibilità di sopravvivenza.
Nel caso in cui non operasse una scelta in tal senso, a maggior ragione nel caso in cui si verificasse il decesso di entrambi i pazienti, non potrebbe considerarsi adempiuto il dovere. Prestare cure che potrebbero essere inutili lasciandone privo chi avrebbe invece potuto avere salva la vita, equivarrebbe a venir meno al proprio dovere.
Tali conclusioni saranno ovviamente da considerare quali mere indicazioni, frutto dei punti di vista e della sensibilità giuridica di chi scrive e pertanto senza alcuna pretesa di esaustività.
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4. Il Covid-19 in ambito europeo: ordinamenti giuridici a confronto
In questo momento l’epidemia da COVID-19 sta investendo principalmente il vecchio continente. I sistemi sanitari di alcuni paesi membri sono al collasso ed il personale medico-sanitario, che sta fronteggiando un’emergenza senza precedenti, è sottoposto a turni di lavoro che possono minare la necessaria diligenza richiesta e determinare anche profili di responsabilità penale.
In ambito europeo il quadro di riferimento relativo all’agire medico-sanitario ed alla regola cautelare fondamentale trova le proprie radici normative nella Carta di Nizza (2000), che costituisce ormai acquis communautaire e, prima ancora, nella Convenzione di Oviedo (Consiglio d’Europa, 1997). Sennonché, quest’ultima non è stata sottoscritta da alcuni paesi dell’Unione europea, tra cui Austria, Germania e Belgio.
– Con particolare riferimento all’Austria, l’ordinamento penale austriaco è stato oggetto di una riforma nel 2015 che, con il chiaro intento di limitare l’area del penalmente rilevante, ha introdotto una definizione legale di colpa grave, ha previsto delle fattispecie di omicidio e lesioni qualificate a tal riguardo, e ha reintrodotto il cosiddetto privilegio del personale medico-sanitario.
Orbene, per il codice penale austriaco agisce con colpa grave colui che, “in modo straordinario e rimarchevole, non osservi la diligenza, sicché la realizzazione di un fatto corrispondente a una fattispecie legale era prevedibile con alta probabilità”.
Si evidenzia inoltre come in tale Paese, ferma l’operatività della generale causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto, in punto di responsabilità medica è configurabile altresì la speciale causa di giustificazione del “trattamento terapeutico”.
Tale causa di giustificazione, desunta dall’art. 110 del codice penale (Strafgesetzbuch, StGB), comporta che, qualora l’intervento sia richiesto da finalità terapeutiche e venga eseguito lege artis, il fatto, che in astratto darebbe luogo a responsabilità penale, venga considerato lecito anche se realizzato contro la volontà del paziente.
Infine è stato reintrodotto il c.d. privilegio del personale medico-sanitario (Medizinalpersonenprivileg). L’art. 88, co. 2, n. 3, StGB statuisce che una persona esercente una professione sanitaria, che abbia agito nell’esercizio della stessa, non è pertanto punibile per lesioni colpose qualora queste non siano gravi (ovverosia, ai sensi dell’art. 84, la durata del danno alla salute o dell’incapacità al lavoro non superi i 24 giorni) e non sussista colpa grave. Anche questa previsione, come le precedenti, è indicativa della particolare indulgenza nei confronti del personale medico-sanitario che contraddistingue l’ordinamento austriaco e che mira a scongiurare il fenomeno della c.d. medicina difensiva.
– A differenza di quanto avviene nell’ordinamento austriaco, in Germania la responsabilità medica è sottoposta alle norme generali sulla responsabilità penale, sia con riguardo alle ipotesi delittuose (omicidio colposo, art. 222 StGB; lesioni colpose, art. 229 StGB), sia per quanto attiene alla colpa.
In ordine al trattamento terapeutico in generale occorre dire che in Germania, dove è consolidata la dogmatica “belinghiana” della struttura tripartita del reato, la giurisprudenza richiede come scriminante per l’intervento il consenso “informato” dell’avente diritto.
Altra questione è quella relativa alla responsabilità per errore medico.
Viene qui in rilievo il tema del rispetto delle regole dell’arte medica generalmente accettate, dovendosi applicare lo “standard di un medico specialista esperto in materia”: tale criterio non coincide necessariamente con l’applicazione delle linee guida delle associazioni mediche, essendo piuttosto una riproduzione dello stato della conoscenza in un certo momento.
Per la configurazione del fatto tipico, l’evento deve essere stato oggettivamente prevedibile o oggettivamente imputabile al soggetto agente. Con riguardo a tale ultimo aspetto, è necessario vi sia un nesso eziologico tra l’inosservanza dell’obbligo di cautela o del dovere di diligenza e l’evento (Pflichtwidrigkeitszusammenhang: la punibilità è esclusa se l’evento si sarebbe realizzato anche qualora egli avesse agito doverosamente); occorre, altresì, che la norma di diligenza o la regola cautelare violata fossero preposte ad impedire eventi del tipo di quello effettivamente realizzatosi (Schitzzweckzusammenhang).
Nell’ordinamento penale tedesco si rinvengono tre errori tipici che possono interessare il personale medico-sanitario.
Errore medico classico. Si tratta dell’inosservanza dello “standard dello specialista” per la cui astratta punibilità non rileva il grado della colpa o la gravità dell’errore (aspetti che, invece, potranno venire in rilievo in sede di commisurazione della pena o archiviazione per tenuità).
Errore in sede di informazione del paziente. In assenza di un valido consenso informato il medico viene considerato responsabile per le conseguenze lesive dell’intervento anche qualora abbia agito secondo le regole dell’arte medica (fa eccezione il c.d. consenso ipotetico, qualora è evidente che il paziente avrebbe comunque concesso il consenso).
Errore di organizzazione. La giurisprudenza ha elaborato, sulla falsariga della responsabilità da circolazione stradale, il principio di affidamento in forza del quale, in caso di lavoro diviso verticalmente, al soggetto posto in posizione apicale è richiesta maggiore diligenza e controllo.
In ogni caso, affinché l’errore medico costituisca un reato, è inoltre necessaria la colpevolezza del suo autore, che si ha quando l’evento era per questi soggettivamente prevedibile ed evitabile. Per il giudizio di rimprovero, a tal fine rivestono un ruolo dirimente le effettive competenze del medico. Qualora egli sia tuttavia intervenuto pur non disponendo della conoscenza ed esperienza necessaria, oppure essendo inabile per altri motivi, egli nondimeno risponderà del fatto a titolo di colpa (è questa la c.d. colpa per assunzione).
In definitiva, nonostante la dottrina da tempo avverta che un’accentuata punibilità del personale medico-sanitario possa rivelarsi svantaggiosa per il paziente, inducendo a fenomeni di medicina difensiva, la giurisprudenza tedesca resta fedele ai consolidati principi secondo cui, al momento di valutare la responsabilità penale del medico, valgono le stesse regole applicate nella generalità dei reati colposi.
– Con riferimento a quanto accade in Belgio, il codice penale belga del 1994 prevede tre gradazioni di colpa: la colpa semplice (per imprudenza, negligenza e imperizia); la violazione intenzionale di un obbligo di legge; la faute caractérisé introdotta dalla legge 2000-647 del 10 luglio 2000 che consiste nell’aver esposto qualcuno a un rischio che si sarebbe dovuto conoscere, pur in assenza di intenzionalità.
Attualmente la responsabilità penale si configura anche per colpa lieve ma da tempo si discute se limitare l’azione penale ai soli casi di colpa grave.
– Infine, in Spagna, per la configurazione della responsabilità penale del sanitario occorre che lo stesso abbia agito colpevolmente, ovvero l’agente avrebbe potuto agire diversamente nel caso concreto ed avrebbe potuto astenersi dal realizzare l’azione tipicamente antigiuridica.
Occorre inoltre che l’azione sia imputabile a titolo di dolo o colpa (imprudencia intesa come omessa diligenza dovuta).
Sul punto Il codice penale spagnolo distingue tre ipotesi di colpa: lieve, grave e professionale.
Imprudencia leve, intesa come mancata cura e attenzione che qualsiasi persona deve porre in essere nell’esecuzione di un fatto capace di danneggiare gli altri.
Imprudencia grave: si configura quando colui che esegue l’azione non misura né prevede le sue possibili conseguenze e si espone alla causazione di un danno che avrebbe dovuto evitare.
Imprudencia profesional: colpa grave commessa da un professionista che determini la morte del paziente o lesioni di cui agli artt. 147 comma 1, 149 o 150 c.p. o che dette conseguenze siano determinate da imperizia, ignoranza o inosservanza della Lex Artis.
5. Conclusioni
Come supra evidenziato, la richiamata assenza di linee guida o di buone pratiche che regolino l’attività diagnostico-terapeutica in caso di infezione da COVID-19, unitamente all’impossibilità di disporne nell’immediato, a causa della fase sperimentale e di ricerca scientifica che richiederà ancora diverso tempo di lavoro, precludono l’applicabilità agli operatori sanitari impegnati nell’emergenza sanitaria della causa di non punibilità ex art. 590 sexies c.p.
A fronte di un tanto risulta dunque indispensabile, a parere di chi scrive, affrontare questa emergenza attraverso l’adozione di nuovi strumenti idonei ed effettivi di tutela per coloro che da settimane combattono per salvaguardare la salute di tutti i cittadini esponendo a gravi pericoli la propria integrità fisica; e ciò al fine ultimo di porli in condizione di poter svolgere la loro ammirevole vocazione con la consapevolezza che, seppur entro determinati limiti, non corrano il rischio di vivere anche la pendenza di un procedimento giudiziario.
Contributo scientifico realizzato dal Dipartimento del Diritto Penale, a firma degli Avvocati
Elisa Davanzo, Roberto Tartaro, Salvatore Celso, Maria Manganiello, Manuela Martinangeli, Alessio Nunziante
1 In tali situazioni, potrebbe venir meno l’antigiuridicità della condotta tipica, qualora il fatto sia stato commesso in presenza di una causa di giustificazione. Potrebbe inoltre venir meno l’elemento soggettivo, e pertanto la colpevolezza, configurandosi così una causa soggettiva di esclusione del reato. Potrebbe anche accadere che si verifichi il caso in cui al fatto, pur antigiuridico e colpevole, per ragioni di opportunità, non venga fatta seguire l’applicazione di una pena, come ad esempio nel caso dell’infermità mentale ed in tal caso ci troveremmo in presenza di una causa esclusione della punibilità.
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