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INTRODUZIONE
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Al fine di ridurre il carico giudiziario dei Tribunali e i tempi necessari al conseguimento del proprio cambio di status, il Legislatore ha offerto alle coppie di coniugi (con imminente ed auspicabile estensione anche anche alle coppie di fatto) una nuova modalità, riconosciuta dall’ordinamento, di addivenire ad accordi di separazione e/o divorzio, perfettamente validi ed efficaci, attraverso accordi raggiunti negoziazione assistita.
Avvalersi della procedura di negoziazione assistita (che rientra tra gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, cd. ADR) per addivenire all’accordo di separazione e/o divorzio non é obbligatorio, ma risponde ad una precisa scelta della parte, assistita in tal senso dal proprio legale.
Dunque, se tra tutte le modalità che vi sono a disposizione, avvocati e clienti scelgono di intraprendere la strada della negoziazione assistita, ciò ha svariate implicazioni.
-II-
LA NEGOZIAZIONE ASSISTITA QUALE METODO DI A.D.R.
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Nell’ambito della negoziazione assistita è assente il momento – non solo giuridico, ma anche altamente simbolico – rappresentato dall’udienza Presidenziale – ove i coniugi (escluso il periodo caratterizzato dalle udienze in modalità cartolare, causa emergenza sanitaria) sono tenuti a comparire personalmente al fine di manifestare la propria volontà di NON riconciliarsi e di aderire alle condizioni di separazione/divorzio concordate.
In secondo luogo, manca il provvedimento dell’Autorità (omologa o sentenza) che suggella e “ritualizza” la separazione.
Con la negoziazione assistita abbiamo, in altri termini, la possibilità, come avvocati, di gestire autonomamente la separazione, ovviamente in sinergia col collega col quale siamo chiamati a collaborare in ottica assai diversa da quella avversariale, in quanto stiamo gestendo insieme uno strumento di Alternative Dispute Resolution.
E ne dobbiamo sentire tutta la responsabilità, ma anche tutta la bellezza.
Responsabilità, non solo per il fatto che se nei 10 (dieci) giorni successivi al ritiro non inoltriamo l’accordo verificato dal P.M. allo Stato Civile, incorriamo in sanzioni, ma anche perché l’accordo che il nostro Cliente raggiunge è un accordo raggiunto grazie al nostro intervento non solo quali operatori del diritto, ma anche grazie alla nostra guida, ai nostri consigli e alla sinergia che si è venuta a creare col Collega.
Abbiamo, dunque, come avvocati in negoziazione assistita (forse ancor di più rispetto a quando assistiamo il Cliente in una separazione consensuale o divorzio a firma congiunta avanti al Tribunale), un ruolo sociale, deflattivo del conflitto.
Una degiurisdizionalizzazione che sia, però, effettiva, si ottiene solo se e nella misura in cui l’accordo raggiunto in negoziazione sia realmente condiviso e sentito come “giusto” dai coniugi, pena un successivo intasamento dei Tribunali con ricorsi per la modifica delle condizioni di separazione e divorzio.
Bellezza, in quanto la negoziazione assistita ci permette di stare propriamente al centro del conflitto familiare che la coppia sta vivendo e che va in scena durante ogni singolo incontro di negoziazione.
Non basterà più, quindi, padroneggiare le migliori tecniche procedurali e le norme di diritto sostanziale; la vera forza dell’avvocato negoziatore sarà saper gestire e risolvere le controversie anche fuori dal Tribunale con un metodo scientifico basato non solo e non tanto sul confronto fra diritti soggettivi, ma sul confronto fra interessi.
L’avvocato negoziatore dovrà, dunque:
– le questioni presentate come problematiche secondo un’ottica di causalità circolare e non lienare;
– guardare al futuro ricercando la soluzione ad un problema comune della coppia, attraverso il confronto fra gli interessi delle parti.
La conoscenza delle norme sostanziali e procedurali, nonché il rispetto della deontologia costituiscono la base ineludibile per poter stare in negoziazione, ma si pone come fondamentale una ulteriore specializzazione dell’avvocato famigliarista (quanto meno per quello che voglia stare efficacemente in negoziazione): competenze di base in tecniche di ascolto, comunicazione e psicologia.
In altre parole, senza mai perdere di vista quelli che sono i diritti del Cliente, l’avvocato negoziatore dovrà saper restare restare in ascolto di quali siano gli interessi sottostanti le sue richieste, interpretandone e sapendone gestire le emozioni; dovrà saper scegliere i tempi ed i modi per un’interazione efficace tra le parti coinvolte nella controversia.
L’avvocato che sappia stare in negoziazione dovrà saper costruire scenari nuovi dando spazio anche alle questioni relazionali, per giungere alla migliore e più duratura composizione del conflitto.
-III-
L’INVIO IN MEDIAZIONE FAMILIARE: QUANDO, COME E PERCHE’
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Quando gli avvocati in negoziazione si rendono conto che la coppia presenta livelli molto elevati di conflittualità, o ritengano di essere incappati in un classico momento di empasse che blocca il processo di negoziazione, essi possono avvertire forte l’esigenza di richiedere l’intervento del mediatore familiare, figura professionale rispetto alla quale al cliente saranno già state debitamente fornite tutte le informazioni più opportune, come disposto espressamente dall’art. 6 n. 3 Legge n. 162/2014, a mente del quale: “Nell’accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. (…)” .
Seguire un percorso di mediazione familiare non è obbligatorio e non potrebbe essere diversamente (verrebbe, infatti, meno uno dei presupposti fondanti il percorso, ovvero la volontarietà).
Tuttavia, l’avvocato che sappia stare efficacemente in negoziazione sarà, altresì, in grado di comprendere quando detto invio si riveli opportuno; e così come il legale riesce agevolmente a spiegare al proprio cliente la migliore strategia processuale, potrà nondimeno ragionare col proprio assistito anche della più idonea strategia negoziale da seguire.
Mentre l’avvocato negoziatore ha ricevuto mandato dal proprio Cliente e deve portare avanti la negoziazione avendo ben presenti gli interessi del proprio Assistito, il Mediatore non è chiamato a parteggiare per l’uno o per l’altro.
Tutte quelle competenze in comunicazione e psicologia, necessarie per stare in negoziazione, nel caso del mediatore familiare, sono state ancora più approfondite con una specializzazione ad hoc; non abbiamo necessariamente, nel Mediatore, una formazione giuridica di base.
Dunque, il mediatore familiare deve indagare gli interessi di entrambe le persone in mediazione (e non più solo di una), presentificando costantemente i minori coinvolti.
La Mediazione Familiare, sotto un profilo meramente logistico:
– (a) può rappresentare una parentesi che si inserisce all’interno del procedimento di negoziazione con un invio dei coniugi dai legali al mediatore familaire. In questo caso, si tratta di un percorso della coppia. Il Mediatore Familiare, in questo caso, se il percorso ha avuto esiti positivi, restituisce agli avvocati la coppia mediata e pronta per proseguire la negoziazione assistita. Si segnala una possibile problematica legata al tempo della mediazione che, per inserirsi all’interno della negoziazione, rischia di essere compresso. La negoziazione dura, infatti, non più di 90 giorni, prorogabili per altri 30. Riuscire a mediare la coppia in quattro mesi dipende dal caso concreto;
– (b) può configurarsi anche quale percorso che si svolge integralmente alla presenza sia dei coniugi, che dei rispettivi legali, dove il mediatore lavora nell’ambito della relazione e gli avvocati raccolgono i preziosi frutti di tale lavoro traducendoli in accordi giuridicamente efficaci (negoziazione assistita dai legali, con la presenza del mediatore mamiliare).
La mediazione potrà essere, poi:
– parziale, nella misura in cui i legali abbiano valutato di delegare al mediatore solo la facilitazione di aspetti problematici in ambito relazionale;
– globale nella misura in cui al Mediatore Familiare venga richiesto di trattare anche temi di carattere economico, ma pur sempre correlati alle dinamiche relazionali.
Il mediatore, come già detto, non parteggia né per l’uno, né per l’altro coniuge e non esprime giudizi di natura morale sul loro comportamento.
La coppia si presenta con una o più problematiche che generano conflitto tra i coniugi, problematiche cd. “punta dell’iceberg”.
Compito del Mediatore Familiare é quello di addentrarsi nella complessità che ogni storia di vita racchiude, periferizzando il conflitto, per poi “ritornare a galla” e fare arrivare la coppia alla soluzione del problema (cd. semplificazione).
La periferizzazione il conflitto si ottiene allargando il campo di osservazione al trigenerazionale della famiglia (attraverso lo strumento del cd. genogramma tradizionale e genogramma tridimensionale): si parte dalla storia individuale di ognuno (famiglie di origine, nonni), passando alla storia della coppia (con la creazione del relativo incastro), per poi arrivare alla generazione dei figli.
Le persone ripercorrono la loro vita (attraverso lo strumento del cd. ciclo di vita): nella narrazione del proprio percorso, alla presenza del mediatore, il ritmo della comunicazione e le tensioni si allentano.
Il mediatore cercherà di creare spazi di condivisione fuori dalle aree di conflitto, dei micro accordi relativi a questioni che possono apparire di minore rilevanza, tali però da far sperimentare alle parti cosa significhi trovare un accordo:
– sia sul piano del contenuto (i loro problemi non sono impossibili da risolvere);
– sia sul piano della relazione (esse sono in grado di trovare soluzioni e la loro relazione può migliorare).
Questo agevola una lateralizzazione del conflitto (in altri termini, della questione principale che lo incarna ovvero la punta dell’iceberg) per poi arrivare a ri-trattarlo in un momento successivo, con uno spirito diverso, che porterà la coppia a vivere la separazione come un evento possibile del proprio ciclo di vita, dando all’evento separativo tutto un altro significato.
La coppia è chiamata a precisare il significato di parole quali “rispetto”, “vendetta”, “risarcimento”.
Il conflitto deve passare per 5 stadi:
- armato;
- non armato;
- tregua (sospensione del conflitto);
- collaborazione (su alcune aree);
- coesistenza civile.
Ogni fase ha proprie emozioni che il mediatore deve saper riconoscere e gestire e sulle quali deve facilitare le parti a riflettere: le parti devono poter dare un nome alle emozioni che stanno vivendo.
Importante è anche l’utilizzo del tempo. Il mediatore non deve avere fretta di chiudere l’incontro, né di ricercare ed elaborare, in prima persona, una soluzione del problema sotto l’esclusivo aspetto del contenuto, giacchè la dinamica, come visto, si gioca assai spesso sul piano della relazione tra i due.
In primo luogo, perché spetta alla coppia di genitori trovare soluzioni che siano realmente condivise; in secondo luogo, perché, per poter soluzionare sul piano del contenuto, quelle stesse persone dovranno necessariamente passare per una “rivisitazione” del loro rapporto sul piano relazionale e rimettersi in dialogo.
Come avvocati, ad esempio, ci sforziamo di prevedere nelle separazioni consensuali ogni più piccola variabile del calendario di frequentazione dei figli; se il conflitto non è stato opportunamento trattato in mediazione, è assai probabile che riemerga con forza non appena accada qualcosa di non espressamente disciplinato dall’accordo tra i due genitori.
Questo avviene in quanto, come avvocati, abbiamo trovato soluzioni sul piano del contenuto, ma i due non sono stati mediati sul piano della relazione.
Terminato il processo di mediazione, le parti tornano “mediate” ai rispettivi avvocati che riprenderanno i punti dell’accordo con la relativa stesura.
La sinergia Avvocato/Mediatore Familiare avrà, in questo senso, portato all’individuazione di un accordo sostenibile e condiviso delle parti.
-IV-
I CONTESTI INTEGRATI
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La conflittualità familiare chiama in campo diverse professionalità.
Una lettura comune del problema costituisce il fondamentale presupposto per una collaborazione costruttiva.
Ogni professione deve giungere alla consapevolezza che la propria competenza copre solo una parte delle nozioni e delle azioni specificamente richieste da un sistema complesso, quale è quello familiare, e che solo lavorando in sinergia con altri operatori si troverà una soluzione a trecentosessanta gradi.
Concludendo, l’avvocato famigliarista che oggigiorno voglia rendersi competitivo dovrà acquisire competenze per saper trattare nelle A.D.R., quale è la negoziazione assistita, e capire quando è opportuno inviare ad altre figure, come ad esempio, quella del Mediatore Familiare -alla quale la Legge n. 162/2014 fa espresso riferimento- e/o del terapeuta, magari dotandosi di un team di colloboratori per poter seguire il cliente nella totale complessità della problematica da trattare e risolvere.
Michela Foti
Avvocato in Bologna, Mediatrice Familiare iscritta ad A.I.M.S.,
Segretario Dipartimento Famiglia Fondazione A.I.G.A. Tommaso Bucciarelli
