CONTRIBUTO SCIENTIFICO
27 Marzo 2020
LO SMART WORKING O LAVORO AGILE
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Lo smart working nella legislazione precedente all’emergenza coronavirus
Il Lavoro agile è introdotto e definito dalla legge 81/2017 come una modalità flessibile di esecuzione della prestazione lavorativa finalizzata a “incrementare la competitività” e ad “agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” che si realizza mediante “accordo tra le parti”.
Elemento fondamentale: l’esigenza di bilanciamento tra due opposti interessi che trova composizione – anche in senso giuridico – nell’accordo mediante il quale le parti, il datore di lavoro e il lavoratore, regolano la possibilità di eseguire la prestazione, “anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”.
È dunque nel lavoro per obiettivi che va identificata la causa di questo negozio giuridico, ossia la possibilità per il lavoratore di eseguire la prestazione al fine di raggiungere un risultato, pur restando lavoratore subordinato.
Il lavoro agile diviene quindi, per le sue caratteristiche peculiari, strumento per ripensare l’organizzazione del lavoro subordinato in chiave di obiettivi.
Sono questi i principi su cui si fondano i progetti più innovativi nel campo dello smart working: flessibilità ed autonomia nel rapporto di lavoro subordinato. Era questo l’obiettivo della L. n. 81/2017 che ha introdotto nell’ordinamento giuridico la disciplina del cosiddetto lavoro agile, o smart working.
Il lavoro agile è una prestazione effettuata dai lavoratori dipendenti, anche mediante l’ausilio di strumenti tecnologici, sia all’interno dei locali dell’impresa sia al di fuori dei locali della stessa, senza una postazione fissa e senza precisi vincoli di orario. Prima della L. 81 del 22 maggio 2017 esisteva già, nel nostro ordinamento, una forma di lavoro da remoto, il telelavoro, introdotta con l’accordo interconfederale del 9 giugno 2004 (che recepiva l’accordo quadro europeo del 16 luglio 2002), in cui la prestazione lavorativa si assumeva regolarmente svolta, mediante l’uso di strumenti telematici, al di fuori dei locali dell’azienda. Questo istituto, mantenendo intatto il sistema di tutele e controlli, non ha riscosso gran successo e ha subito un’interpretazione restrittiva delle proprie potenzialità, che sono state principalmente ricondotte al solo telelavoro domiciliare, quindi espresse nei soli casi di chiara e vantaggiosa compatibilità della lavorazione con lo strumento contrattuale specifico. Lo smart working, accentuando la contrapposizione tra la dislocazione fisica del lavoratore e la struttura aziendale, rappresenta l’evoluzione giuridico-sociale dell’istituto del telelavoro. La nuova modalità organizzativa, ottenuta grazie alla sempre maggior evoluzione della tecnologia, consente infatti al lavoratore di gestire in piena autonomia (tuttavia normata da un accordo inter partes che, per certi versi, può risultare anche più coercitivo e stringente della ordinaria disciplina del telelavoro) il luogo e i tempi di svolgimento della prestazione lavorativa. E, ciò che più conta, consente a entrambe le parti di modellare e concepire, anche prima della assunzione, il lavoro stesso con modalità diverse da quelle considerate ordinarie.
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L’art. 18 (Lavoro agile), che disciplina l’istituto in generale, individua appunto la ratio dell’istituto nell’incremento della competitività, attraverso una moderna organizzazione del lavoro che consenta ai lavoratori di conciliare l’attività lavorativa con la vita sociale.
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L’art. 19 (Forma e recesso), prescrive che “i tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure tecniche e organizzative per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro” siano definiti da un accordo tra le parti del contratto di lavoro. Il problema principale che si pone con riferimento al “diritto alla disconnessione” è quello della sua effettività, ovvero di come assicurarne la concreta applicazione.
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l’art. 20 (Trattamento, diritto all’apprendimento continuo e certificazione delle competenze del lavoratore) si occupa della retribuzione del dipendente, nonché del suo diritto “all’apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, e alla periodica certificazione delle relative competenze”.
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l’art. 21 (Potere di controllo e disciplinare) circoscrive l’ambito del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali, nei limiti di quanto disposto dall’art. 4, L. n. 300/1970. Tale previsione normativa, al comma 2, esclude l’applicazione delle disposizioni sugli impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo nei luoghi di lavoro, agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa.
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il combinato disposto degli artt. 22-23 (Sicurezza sul lavoro e Assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali), infine, pone in capo al datore di lavoro il duplice onere di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore nonché di tutelare quest’ultimo dai rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali.
La Legge sul lavoro agile, tuttavia, nulla dispone circa il tempo e il luogo fisico di svolgimento della prestazione lavorativa; pertanto, in caso di evento accidentale con effetto lesivo, sarà arduo stabilire se nel luogo del sinistro il lavoratore si trovi per svolgere la propria attività lavorativa o per altre ragioni scevre di rilievo ai fini dell’indennizzo assicurativo.
Al corpus normativo va, tuttavia, dato atto di aver riacceso un nuovo interesse delle parti sociali e degli operatori verso la materia del lavoro a distanza.
Nella sostanza il lavoro agile, agevolato dalla sostanziale rielaborazione, in senso estensivo, della categoria della subordinazione, viene a costituire uno strumento alla portata di azienda e lavoratore a mezzo del quale può essere ripensato l’intero mercato del lavoro, un rapporto più “umano” tra il lavoro stesso e gli altri interessi sociali e familiari, altrettanto necessari al complessivo sviluppo della persona.
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Principali novità introdotte nell’ordinamento in materia di lavoro agile in conseguenza della estensione dell’emergenza sanitaria da covid-19
L’aggravarsi progressivo della situazione epidemiologica dovuta al diffondersi del virus COVID-19 ha indotto il Governo ad approntare una serie di deroghe volte ad incentivare l’utilizzo del lavoro agile previsto dalla legge 81/2017 fino a farla diventare la forma di lavoro subordinato preferibile, ove possibile e compatibile con l’attività lavorativa svolta, sia nel settore pubblico che nel settore privato.
Gli strumenti legislativi utilizzati sono stati, data l’urgenza, quelli del D.L e del DPCM, che si sono succeduti nel periodo a partire dal 25.02.2020 fino all’ultimo decreto legge, pubblicato nella notte del 16.03.2020.
Qui di seguito si riportano in progressione cronologica e sistematica i provvedimenti adottati:
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2 DPCM del 25.02.2020: tale articolo deroga, inizialmente solo per le regioni interessate dalla emergenza sanitaria qualificate come “zone rosse”, alla disciplina degli artt. 18-23 della Legge 81/2017 in ordine alla necessità di accordi individuali per l’avvio del lavoro agile, e prevede modalità informatiche semplificate per l’invio all’Inail della relativa documentazione.
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Art 4. DPCM del 1 marzo 2020 lett. a): estende tale disposizione, per tutta la durata dell’emergenza, a tutto il territorio nazionale e ad ogni rapporto di lavoro, derogando alle disposizioni relative alla necessaria esistenza di preventivo accordo con il lavoratore, nonché alle disposizioni relative alle modalità di comunicazione all’Inail.
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Art, 1, comma 7, lett. a) DPCM 11.3.2020: incentiva al massimo l’utilizzo del lavoro agile per ogni tipo di attività produttiva nel settore pubblico e privato, ove possibile e compatibile con l’attività lavorativa svolta.
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39 DL 18 del 17.03.2020: prevede il diritto dei lavoratori disabili, e/o con un familiare disabile, di essere collocati in modalità di lavoro agile, ove compatibile con l’attività lavorativa, e il riconoscimento della priorità nell’accoglimento delle istanze di lavoro agile per i lavoratori con comprovata riduzione della capacità lavorativa.
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87 DL n. 18 del 17.03.2020: prevede che nel comparto pubblico il lavoro agile sia da considerarsi la forma ordinaria di lavoro, pertanto le Amministrazioni “ …a) limitano la presenza del personale negli uffici per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, anche in ragione della gestione dell’emergenza; b) prescindono dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81. 2017. La prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dall’amministrazione. In tali casi l’articolo 18, comma 2, della legge 23 maggio 2017, n. 81 non trova applicazione. 3. Qualora non sia possibile ricorrere al lavoro agile, anche nella forma semplificata di cui al comma 1, lett. b), le amministrazioni utilizzano gli strumenti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione e di altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva. Esperite tali possibilità le amministrazioni possono motivatamente esentare il personale dipendente dal servizio. Il periodo di esenzione dal servizio costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge e l’amministrazione non corrisponde l’indennità sostitutiva di mensa, ove prevista. Tale periodo non è computabile nel limite di cui all’articolo 37, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3”.
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Nel decreto vi sono poi altre disposizioni (art. 74 e 75), che prevedono finanziamenti sia in campo pubblico che privato, le quali incentivano l’acquisto di strumenti idonei all’utilizzo dello smart working.
L’innovazione normativa principale è rappresentata, quindi, dalla possibilità di utilizzare il lavoro agile pur in assenza di preventivi accordi scritti con i lavoratori.
Si evidenzia inoltre la problematica relativa alla tutela relativa al rispetto della normativa sulla conservazione e riservatezza dei dati personali in possesso del datore di lavoro anche in ambienti esterni al luogo di lavoro. Utile può essere la individuazione degli adempimenti necessari attraverso una check list necessaria per garantire il rispetto delle norme di cui al GDPR privacy.
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I controlli a distanza nello smart working
Il modo necessariamente improvvisato con cui il sistema produttivo si è avvicinato a questo strumento nasconde una forte insidia, la cui principale potrebbe essere rappresentata dalla gestione dei controlli a distanza nei confronti del lavoratore.
Ciascun datore di lavoro, infatti, ha il diritto di svolgere controlli sul corretto svolgimento della prestazione dei propri dipendenti, senza distinzioni sulle modalità di esecuzione, a patto che siano rispettati i limiti fissati dagli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori.
L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori ha una particolare rilevanza quando si parla di lavoro agile, perché fissa un principio molto rigoroso: sono vietati l’installazione e l’uso di apparecchiature tecnologiche e sistemi in grado di controllare a distanza lo svolgimento dell’attività lavorativa del dipendente. Il ricorso a questi apparecchi può essere consentito solo in caso di accordo sindacale o di autorizzazione dall’ Ispettorato territoriale del lavoro.
I datori di lavoro non potranno dunque usare i software aziendali, le webcam e le altre tecnologie digitali per capire se lo smart worker si trova in casa ed è collegato al suo computer, o per verificare quali siti internet sta utilizzando: oltre a essere contrario alla logica del lavoro agile, questo comportamento sarebbe illecito.
Il Jobs Act (Dlgs 151/2015, art 23), ha precisato che queste restrizioni non si applicano agli strumenti di lavoro, ma al momento prevale una lettera restrittiva di questa esenzione.
La riforma del 2015 ha aggiunto un ulteriore elemento: “i dati e le informazioni ottenuti tramite gli strumenti di controllo a distanza sono utilizzabili ai fini del rapporto di lavoro solo a condizione che sia stata data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196″
Ciò vuol dire che, se lo strumento di controllo a distanza è lecitamente installato, il datore di lavoro deve preventivamente informare il lavoratore agile sulla possibilità di eseguire controlli sulla sua prestazione.
Se il datore di lavoro ha il fondato sospetto che il dipendente stia commettendo degli illeciti, può svolgere controlli mirati, (anche a distanza) a patto che siano proporzionati e non invasivi, e riguardino solo ed esclusivamente i beni aziendali.
Parliamo in particolare del Pc fornito dal datore e della casella di posta aziendale;
su tali beni, il dipendente non può avere alcuna aspettativa di segretezza.
Tale aspettativa deve essere rimossa in anticipo, prima del controllo, chiarendo che gli strumenti aziendali non devono essere usati per motivi personali perché potrebbero essere oggetto di indagini aziendali.
In più, l‘accordo individuale di attivazione dello smart working può disciplinare le forme di esercizio del potere di controllo, per i periodi nei quali l’attività lavorativa si svolge fuori dai locali aziendali.
In questo accordo si definiscono anche le condotte che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari.
Le parti potrebbero quindi stabilire specifiche forme di controllo, sempre restando dentro i limiti dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
Altro aspetto di grande rilevanza pratica sul versante della tutela dei diritti ed in particolare del diritto alla salute e sicurezza del lavoratore agile in relazione alla gestione dell’orario di lavoro è il richiamo al “diritto alla disconnessione” contenuto nell’art. 19, c. 1 della L. n. 81/2017, ciò al fine di scongiurare i rischi connessi al superamento dei limiti di durata – giornaliera e settimanale – della prestazione lavorativa, i quali incidono sulla salute dell’individuo per effetto proprio del possibile sovraccarico di lavoro dovuto all’assenza di controllo.
La legge introduce nel nostro ordinamento uno strumento giuridico diretto ad assicurare il rispetto dei tempi di riposo, cioè appunto il diritto alla “disconnessione”, che qualcuno qualifica come speculare ad un “dovere di disconnessione” che spetta al datore di lavoro disciplinare nel quadro della nuova organizzazione del lavoro per “fasi, cicli e obiettivi” che caratterizza il lavoro agile.
Il controllo è, quindi, un atto al quale dedicare maggiore attenzione d’analisi nell’ambito lavorativo, poiché si è arrivati, in virtù dell’evoluzione tecnologica, al punto in cui esso è realizzabile per il tramite di mezzi che costituiscono, al tempo stesso, strumenti impiegati dal lavoratore per rendere la sua prestazione, andando a determinare la possibilità per il datore di lavoro di addentrarsi nella vita privata del lavoratore in modo più insidioso rispetto ad un recente passato.
Tutto ciò pur sempre in considerazione del fatto che il controllo operato dal datore di lavoro trovi comunque la sua limitazione nell’esigenza del lavoratore di vedersi riconosciuta la tutela alla dignità ed alla riservatezza, innescando quella delicata ricerca di un necessario bilanciamento tra le contrapposte esigenze delle parti.
Si è, quindi, ritenuto doveroso stabilire che la vigilanza attuata sul lavoratore, ancorché necessaria nell’organizzazione produttiva, andasse mantenuta in una dimensione umana, ossia non esasperata dall’uso di tecnologie suscettibili di rendere l’opera di monitoraggio continua, suscettibile, in questo modo, di eliminare ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro.
A tal proposito, un ruolo centrale è stato ed è svolto dalla Giurisprudenza, la quale è riuscita ad indicare di volta in volta quali fossero i limiti da porre al potere di controllo e le modalità per un suo lecito esercizio, consentendo, in tal modo, alla norma dello Statuto dei lavoratori di confrontarsi con le innovazioni tecnologiche e di rispondere alle nuove esigenze che, nel tempo, si sono andate affermando nel mondo del lavoro.
Inoltre, si individua, alla luce del dettato della nuova disposizione statutaria, l’intreccio tra due distinte normative, la disciplina lavoristica e la disciplina della privacy, funzionale, nell’intento del Legislatore, alla realizzazione di una moderna tutela dei diritti di dignità e riservatezza del lavoratore. È evidente la volontà del legislatore nazionale ed europeo di attuare un importante tentativo di perfezionamento della disciplina dei controlli «a distanza» sulla base di questi principi che il nuovo Regolamento europeo ha avuto il merito di rafforzare e grazie al suo esplicito richiamo nel nuovo testo dell’articolo 4 St. lav..
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Le questioni disciplinari in tema di smart working
Come abbiamo visto, l’art. 21 si occupa delle modalità di utilizzo dei poteri di controllo e disciplinare del datore di lavoro.
Al comma 1), in cui la norma precisa che l’accordo tra datore di lavoro e dipendente disciplina “l’esercizio del potere di controllo sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’art.4, legge 20 maggio 1970 n. 300, e successive modificazioni”, si affianca il comma 3, il quale precisa l’ambito di utilizzo dei controlli a distanza, adoperabili a fini disciplinari solo se il datore ha preventivamente fornito al prestatore una “adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”.
Quanto al secondo comma, esso appare quello di maggior interesse giuridico, soprattutto se analizzato alla luce della recente riforma dell’istituto legata all’emergenza sanitaria.
Secondo la norma, ai fini della punibilità delle condotte connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, è necessario individuare preventivamente le stesse condotte nell’accordo che le parti sottoscrivono ex art. 19. Dunque, comminare sanzioni al dipendente per condotte inadempienti durante l’attività svolta in regime “agile”, sarà consentito solo se le condotte inadempienti siano state concordate e analiticamente indicate, in modo che possano poi essere contestate, con facoltà di difesa a beneficio del dipendente, nel rispetto dell’iter contrattuale e dell’art. 7, legge n. 300/1970.
In sostanza, le clausole disciplinari dell’accordo vanno ad affiancarsi al codice disciplinare contenuto nel CCNL applicato dal datore di lavoro, che continuerà ovviamente ad essere applicato per la parte di prestazione – se esiste – resa all’interno dei locali dell’Azienda.
A tale proposito, sebbene la norma nulla disponga in tal senso, è doveroso segnalare che molte aziende hanno stipulato accordi sindacali di secondo livello, dedicati alle questioni disciplinari in regime di smart working, che regolano la fattispecie tra le parti anche in assenza di esplicita formalizzazione nell’accordo individuale, il quale ultimo però, a parere di chi scrive, per essere valido deve contenere almeno il richiamo alla norma collettiva.
Nella sostanza, la stragrande maggioranza dei patti includenti norme di questo tipo, si occupano quasi esclusivamente del dovere del dipendente di essere sempre reperibile nel corso del “normale” orario di lavoro, anche qualora in quel momento non stia materialmente compiendo alcuna attività.
I Decreti pubblicati a seguito dell’emergenza sanitaria, eliminando l’accordo scritto quale condizione al suo utilizzo, hanno dunque semplificato la procedura per l’adozione di tale tipo di lavoro subordinato; così facendo, tuttavia, hanno complicato l’individuazione degli atteggiamenti passibili di sanzioni durante la prestazione “agile”, che secondo la Legge, non essendo stati preventivamente individuati e concordati, non potranno neppure essere contestati.
Le mancanze addebitabili al dipendente rimarranno, pertanto, solo le violazioni ai suoi obblighi di diligenza e fedeltà indicati nel Codice Civile, nonché quelle analiticamente previste dal Contratto Collettivo applicabile, se compatibili con la modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative in smart working.
Nulla vieta alle parti, e sarebbe anzi auspicabile, di concludere accordi a distanza, formalità che consentirebbe di ristabilire il dettato normativo originario e quindi regolamentare il potere di controllo e disciplinare del datore.
Va segnalato che detto accordo, se stipulato successivamente all’introduzione della deroga di legge ed all’utilizzo di tale modalità di lavoro, non potrà tuttavia avere efficacia retroattiva.
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L’avvocato e lo smart working
Diamo un’occhiata, infine, alle possibilità che le nuove norme, combinate all’evoluzione della tecnologia, hanno offerto agli operatori del diritto e alla gestione della giustizia.
Andando nello specifico, e cercando di fornire delle indicazioni pratiche, si mettono in evidenza alcune norme varate in questo periodo di emergenza:
l’art 2 del D. L. 8 marzo 2020, n. 11 statuisce che:
al comma 2. Per assicurare le finalità di cui al comma 1, i capi degli uffici giudiziari possono adottare le seguenti misure:
lett. f) la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti ed al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità’ di collegamento. All’udienza il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell’identità’ dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale;
al comma 7. Ferma l’applicazione dell’articolo 472, comma 3, del codice di procedura penale, a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino alla data del 31 maggio 2020, la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare e’ assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 146-bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.
Al comma 8. Negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni, a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino alla data del 22 marzo 2020, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati a norma degli articoli 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, 37 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, e 19 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, sono svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica, che può essere autorizzata oltre i limiti di cui all’articolo 39, comma 2, del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 e all’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 121 del 2018.
Il 10.03.2020 è stato pubblicato, sul Portale dei Servizi Telematici, il Provvedimento del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati, previsto dall’art. 2 del decreto legge 8 marzo 2020, n. 11, il quale:
all’art. 1: individua i collegamenti da remoto per lo svolgimento delle udienze civili e delle udienze penali come previsto dall’art. 2, commi secondo, lett. f), e settimo, del Decreto Legge 8 marzo 2020, n.11, nonché, in quanto compatibili, per i collegamenti previsti dall’art. 2, comma ottavo, del medesimo decreto legge;
per le udienze civili:
l’art 2 del Provvedimento prevede che:
Nell’ipotesi prevista dall’art. 2, comma secondo, lett. f), del Decreto Legge 8 marzo 2020, n. 11, le udienze civili possono svolgersi mediante collegamenti da remoto organizzati dal giudice utilizzando i seguenti programmi attualmente a disposizione dell’Amministrazione e di cui alle Ministero della Giustizia (prot. DGSIA nn. 7359.U del 27 febbraio 2020 e 8661.U del 9 marzo 2020):
Skype for Business;
Teams.
I collegamenti effettuati con i due programmi su dispositivi dell’ufficio o personali utilizzano infrastrutture di quest’amministrazione o aree di data center riservate in via esclusiva al Ministero della Giustizia.
Per le udienze penali
l’art. 3 prevede che:
Le udienze penali di cui al settimo comma dell’art. 2 del Decreto Legge 8 maggio 2020, n. 11, si svolgono, ove possibile, utilizzando gli strumenti di videoconferenza già a disposizione degli uffici giudiziari e degli istituti penitenziari ai sensi dell’art. 146-bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.
In alternativa, possono essere utilizzati i collegamenti da remoto previsti dall’art. 2 del presente provvedimento laddove non sia necessario garantire la fonia riservata tra la persona detenuta, internata o in stato di custodia cautelare ed il suo difensore e qualora il numero degli imputati, che si trovano, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in luoghi diversi, consenta la reciproca visibilità.
Dunque, lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti ed al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento.
All’udienza il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell’identità’ dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale.
Tale modalità può essere utilizzata, in alternativa, anche per le udienze penali ove non sia necessario garantire la fonia riservata tra la persona detenuta, internata o in stato di custodia cautelare ed il suo difensore e qualora il numero degli imputati, che si trovano, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in luoghi diversi, consenta la reciproca visibilità.
In difetto viene confermato – per le udienze penali con persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare – l’uso degli strumenti di videoconferenza già a disposizione degli uffici giudiziari e degli istituti penitenziari ai sensi dell’art. 146-bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.
Il Dipartimento del Lavoro
Raffaele Pellicanò
Gaia Garbellotto
Andrea Cartella
Mara Mencherini
Irene Trocino
Marianna Licari
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