SCARICA .PDF
Prime osservazioni a margine della riforma delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (L. 28.2.2020 n. 7)*
È di pochi giorni fa la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 28.2.2020, della Legge 28 febbraio 2020, n. 7 avente ad oggetto la «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni», destinata ancora una volta a modificare il regime normativo in materia di intercettazioni sul quale già era intervenuta la precedente riforma Orlando nel 2017, mai entrata in vigore in quanto oggetto di svariate proroghe.
La riforma ultima entrerà in vigore a partire dal 1 maggio 2020, e non più il 1 marzo come precedentemente stabilito nel decreto legge, e ciò in conseguenza di un emendamento approvato in Senato. Ne consegue l’applicabilità delle nuove disposizioni in tema di intercettazioni per i soli procedimenti relativi a notizie di reato iscritte nel registro della procura a norma dell’art. 335 C.p.p. a far data dal 1 maggio 2020.
La nuova disciplina normativa appare ispirata dalla finalità di restituire al PM discrezionalità e potere decisionale sulla selezione del materiale oggetto di intercettazioni (in precedenza sostanzialmente affidato alla polizia giudiziaria, che adesso si limiterà solo all’attività di captazione e ascolto) e di rafforzare gli strumenti a tutela della privacy e della riservatezza dei soggetti coinvolti: ciò, in particolare, attraverso l’introduzione, all’articolo 114 c.p.p., del comma 2-bis che vieta la pubblicazione dei risultati delle intercettazioni non acquisite.
Spetterà dunque al Pubblico Ministero in prima battuta e successivamente al GIP valutare quali siano le intercettazioni ritenute rilevanti che entreranno a far parte del fascicolo rispetto a quelle irrilevanti che rimarranno segrete e non potranno essere diffuse, con la conseguenza che al difensore sarà quindi consentito di estrarre copie solo delle intercettazioni rilevanti. V’è da dire che la riforma non prevede alcuna incriminazione per violazione di segreto d’ufficio in caso di divulgazione delle intercettazioni segrete, rimanendo invariate le regole previgenti.
Volendo concentrare l’attenzione su alcune delle disposizioni codicistiche esemplificative dello spirito riformatore, possiamo partire dall’esame dell’articolo 266 c.p.p..
La norma mantiene inalterato il sistema previgente nella parte in cui già prevedeva la possibilità di utilizzare i captatori informatici inseriti su un dispositivo elettronico portatile (c.d. trojan) per intercettare le comunicazioni tra persone presenti, e ciò anche all’interno dei luoghi di privata dimora di cui all’art. 614 c.p., ma limitatamente all’ipotesi in cui vi sia un fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo un’attività criminosa.
Immodificato è anche il successivo comma 2 bis della disposizione normativa in commento, nella parte in cui, in via eccezionale, consente l’intercettazione nei luoghi di privata dimora sempre quando si proceda per i gravi delitti di cui agli articoli 51 Commi 3-bis e 3-quater c.p.p.
Modifica di rilievo a tale comma, voluta dal decreto legge 161/2019, riguarda i delitti commessi dai pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio (estensione soggettiva voluta dalla legge c.d. Spazzacorrotti) contro la pubblica amministrazione, purché puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni, nei confronti dei quali si può procedere all’intercettazione nei luoghi di privata dimora, purché vengano esplicitate le ragioni che giustifichino tale richiesta (emendamento approvato al Senato in sede di conversione del decreto legge 161/2019). Il decreto in parola, ampliando il campo di utilizzo dei Trojan, seppur in presenza di una “motivazione rafforzata”, potrebbe esporsi a possibili questioni di legittimità costituzionale. Si discute infatti di strumenti straordinariamente invasivi della libertà personale e della sfera privata del soggetto e potrebbero realmente profilarsi lesioni di garanzie costituzionalmente garantite, quali la privacy, l’inviolabilità del domicilio (art.14 Cost.) e la segretezza della corrispondenza (art. 15 Cost.). Ulteriore disposizione normativa interessata dalla riforma del 2019 è l’articolo 268 c.p.p. che disciplina la “esecuzione delle operazioni” di intercettazione, ed il cui comma 2 bis risulta integralmente modificato, prevedendo ora che in nessun caso possano essere trascritte espressioni lesive della reputazione o contenenti dati sensibili, salvo siano rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini.
Viene abrogato il successivo comma 2 ter, con la conseguenza che al Pubblico Ministero è precluso selezionare il materiale oggetto di intercettazioni, che, salvo le eccezioni sopra ricordate, dovrà ora essere integralmente trascritto.
Risulta, inoltre, modificato il successivo comma 4, che prevede che la proroga del termine per la trasmissione dei risultati delle intercettazioni debba essere espressamente approvato dal Giudice e non più frutto di una iniziativa del Pubblico Ministero, come accadeva nel quadro normativo disegnato dalla riforma Orlando.
Il decreto legge 161 del 2019 ha oltretutto ripristinato la vigenza dei successivi commi da 5 a 8, abrogati dalla precedente riforma Orlando, così riaffermando la centralità del contraddittorio tra le parti nella selezione e scelta del materiale intercettato da far poi confluire nel fascicolo per il dibattimento. In caso di procedura di stralcio l’avviso ai sensi dell’art. 268 comma 6 dovrà essere comunicato “a tutti difensori delle parti” e non solo a quello dell’imputato come era previsto nella versione precedente.
Ulteriore modifica è stata introdotta con riferimento ai tempi dell’accesso delle difese all’archivio “riservato” delle intercettazioni ex art. 269 comma 1 c.p.p., prima concesso “in ogni caso” e ad oggi ammesso solo “successivamente al deposito” degli atti effettuato ai sensi dell’art. 268 c.p.p e quindi: a) nel caso in cui si proceda con l’udienza stralcio, decorsi 5 giorni dalla conclusione dell’attività di intercettazione se non sia stato disposto il ritardo del deposito non oltre la chiusura delle indagini; b) al termine delle indagini ex art 415 bis, in caso di ritardato deposito; c) ai sensi dell’art. 454 comma 2 bis cpp nel caso di giudizio immediato.
In questo caso la difesa ha diritto di estrarre copia delle registrazione e degli atti presenti nell’archivio solo “quando acquisiti” e quindi o dopo l’udienza di stralcio o dopo il deposito dell’avviso 415 bis ovvero ancora dopo il deposito della richiesta di giudizio immediato.
Si evidenzia come nel caso di udienza di stralcio sia palese la grave lesione delle prerogative difensive in violazione dell’art. 24 della Cost., visto che il difensore potrà ottenere copia delle intercettazioni solo dopo l’acquisizione delle intercettazioni, quindi in un momento successivo all’udienza in cui si è deputati a valutare e decidere sull’eventuale stralcio di quelle intercettazioni che erano stato ritenute rilevanti dal PM.
Analogamente il diritto di difesa risulta essere compresso anche nel caso di cui all’art. 415 bis e ciò nonostante l’introdotta previsione al comma 2 bis per cui è stabilito che, ad eccezione dell’ipotesi in cui si sia già proceduto ai sensi dell’articolo 268 commi 4-5-6 c.p.p., l’avviso di conclusione delle indagini preliminari deve contemplare per il difensore e l’indagato la facoltà di esaminare in via telematica gli atti relativi alle intercettazioni, o ascoltare le registrazioni, o visionare i flussi di comunicazioni e estrarne copia. Infatti il difensore avrà sì diritto di estrarre copia, ma solo delle intercettazioni e degli atti ritenuti rilevanti dal P.M. e non anche di quelle ritenute irrilevanti dallo stesso, ed in ogni caso solo a seguito della conclusione dell’attività d’indagine e quindi del venir meno del segreto istruttorio, rimesso anche in questo caso alla discrezionalità dell’autorità inquirente.
Solo nell’ipotesi di misure cautelari è stato modificato con emendamento, l’art. 293 comma 3 c.p.p., consentendo il diritto di copia al difensore ma limitatamente ai “verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate”, rimanendo precluso il diritto di copia delle registrazioni e dei flussi di comunicazione intercettati. E’ del tutto evidente come, in sede di interrogatorio di garanzia così come in sede di riesame, una previsione del genere rischi di compromettere gravemente il diritto di difesa dell’indagato. Inoltre, stando all’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, il rischio concreto sarebbe anche quello di inficiare l’utilizzabilità degli atti in sede cautelare.
Ulteriore facoltà difensiva da esercitare nel termine di venti giorni dalla notifica dell’avviso 415 bis c.p.p. è quella di depositare un elenco delle intercettazioni e registrazioni ritenute rilevanti, con esplicita richiesta di estrarne copia. Su tale istanza il Pubblico Ministero dovrà adottare un decreto motivato che, in ipotesi di osservazioni o rigetto, legittima il difensore a rivolgere analoga istanza al Giudice procedente, che potrà provvedere nelle forme di cui all’art. 268, comma 6, c.p.p..
L’esercizio di analoga facoltà è stato previsto all’articolo 454, comma 2 bis, c.p.p. in relazione al giudizio immediato da esercitare entro 15 giorni dalla notifica del decreto.
La riforma del 2019 ha integralmente abrogato gli articoli 268 bis, ter, quater c.p.p. nonché i riferimenti a tali disposizioni contenuti in altre norme del codice di rito. È stata infine rivolta una particolare attenzione alle norme contenute nelle disp.att.c.p.p. destinate a regolamentare l’utilizzo in concreto degli strumenti informatici utili per le intercettazioni; tra queste, è opportuno richiamare l’articolo 89 disp. att. c.p.p. che dispone in tema di misure finalizzate a garantire l’integrità, affidabilità e sicurezza nella trasmissione dei dati per evitare dispersioni dannose, soprattutto nell’ipotesi in cui vengano impiegati i Trojan.
Tuttavia, il legislatore non ha regolamentato né le modalità né i criteri di selezione delle società private che forniranno la dotazione tecnologiche alla Procure e ciò potrebbe determinare criticità di non poco conto anche sotto il profilo della regolare tenuta dei dati sensibili appaltati ai privati. Altra disposizione interessata dalla riforma del 2019 è l’articolo 270 c.p.p.; il comma 1 stabilisce la possibilità di utilizzare risultati delle intercettazioni ambientali e telefoniche c.d. “tradizionali” in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, e ciò non solo nei casi di reati per cui sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ma anche per tutti quelli elencanti nell’art. 266 comma 1, purché risultino “rilevanti ed indispensabili” per il loro accertamento.
E’ stato altresì introdotto il comma 1 bis dell’art. 270 che, con specifico riferimento all’intercettazione effettuata tramite captatore informatico, e fermo restando quanto stabilito dal comma 1, ha introdotto un nuovo requisito restrittivo per l’utilizzabilità in altri procedimenti dei risultati del trojan, richiedendo non solo che debba trattarsi di reati diversi compresi tra quelli indicati nell’art. 266 comma 2-bis c.p.p. (delitti di criminalità organizzata o terrorismo, da intendersi in senso ampio come quelli «comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato», secondo quanto previsto dalle Sezioni Unite “Scurato” del 2016, ovvero di gravi delitti di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio contro la P.A.), ma che occorra, anche in questo caso, che tali risultati «risultino indispensabili» per il loro accertamento.
Il legislatore con tale modifica sembrerebbe non aver tenuto conto di quanto stabilito dalla recentissima Sentenza delle Sezioni Unite della cassazione n. 51 del 2020, in base alla quale è stato precisato che il divieto di cui all’art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge. Con la citata pronuncia le Sezioni Unite della Cassazione hanno quindi ammesso l’uso delle risultanze delle intercettazioni eseguite con lo strumento del captatore informatico in altri procedimenti, ma solo se si tratta di un reato connesso a quello per cui si sta procedendo; diversamente, con l’introdotta modifica dalla riforma, i risultati delle intercettazioni potranno essere usati in procedimenti diversi da quelli in cui sono stati disposti, solo se sono “indispensabili” e “rilevanti” per l’accertamento dei reati per i quali è previsto l’arresto in flagranza e di quelli di particolare gravità indicati tassativamente dall’articolo 266 del codice di procedura penale. V’è da dire che i criteri citati dell’indispensabilità e della rilevanza appaiono di per sé alquanto “elastici” e si potrebbero profilare questioni di legittimità costituzionale in riferimento alla violazione del principio di tassatività della Legge; infatti, l’art. 15 della Cost. appresta particolari garanzie a tutela della libertà e della segretezza della comunicazione, consentendone la violazione solo nelle forme previste e garantite dalla legge, allorquando ci si trovi innanzi ad un “atto motivato dell’autorità giudiziaria”. Ebbene gli esiti di talune intercettazioni “autorizzate” da parte del Giudice potrebbero ben essere utilizzate quali prove anche in riferimento ad ulteriori indagini che purtuttavia erano mancanti originariamente dei presupposti richiesti per la concessione dell’autorizzazione stessa; e ciò o perché carenti dei gravi indizi di colpevolezza e necessità assoluta di prosecuzione delle indagini o perché detti presupposti non erano stati individuati prima dell’intercettazione. In tal modo si legittimerebbe in modo incondizionato la cosiddetta tecnica della “pesca a strascico” finalizzata per lo più alla ricerca di nuovi reati, ledendo inevitabilmente libertà costituzionalmente garantite. Si segnala, infine, come il Legislatore non sia intervenuto in materia di garanzie di libertà del difensore, lasciando invariata la modifica apportata dal D.L.gs. 216/2017 all’art. 103 co. 7 c.p.p., costituita dalla previsione del divieto di trascrizione, finanche nei brogliacci di ascolto, delle conversazioni tra difensore e assistito (tale divieto si aggiunge al preesistente divieto di utilizzazione); nel verbale potranno essere indicati infatti soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta.
Tale previsione offre, all’evidenza, una tutela solo parziale del diritto di difesa, che avrebbe meritato maggiore protezione, stabilendo ad esempio direttamente l’interruzione dell’intercettazione stessa e lo spegnimento dei dispositivi utilizzati. Una mancata occasione di garantire reale ed effettiva tutela al diritto di difesa. Da ultimo, e a margine di quanto nel merito argomentato in ordine all’intervento di riforma e ad alcune delle sue principali criticità, appare opportuno rilevare come lo stesso confermi ancora una volta il ruolo centrale assunto dal Governo nella produzione normativa primaria, e ciò nonostante gli atti con forza di legge dell’Esecutivo – come bene evidenziato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 171 del 2007 – dovrebbero atteggiarsi come derogatori rispetto all’ordinario esercizio della potestà legislativa parlamentare disciplinato dall’art. 70 Cost.. Nel caso di specie, tale censurabile tendenza risulta poi ulteriormente rafforzata dall’aver concretamente rispettato la prassi, ancor più deprecabile, consistente nell’eccessivo utilizzo della questione di fiducia per l’approvazione delle relative leggi di conversione. In tal senso, ponendosi in evidenza come nella sostanza si sia proceduto a una riforma di sistema mediante un provvedimento avente forza di legge dell’Esecutivo, appare doverosa la critica, sotto il profilo della pura tecnica di produzione normativa, di una simile prassi, che segue nel concreto un’impostazione tipica degli Stati autoritari, nei quali il potere legislativo è subordinato a quello esecutivo, il quale a sua volta legifera in prima persona tramite decreti con forza di legge o regolamenti in materie ad esso riservate, e che dimentica la ratio delle disposizioni contenute nella l. n. 400 del 1988, tesa alla razionalizzazione dei poteri normativi dell’Esecutivo mediante la valorizzazione del Parlamento come organo di grande legislazione e di controllo sull’attività normativa del Governo.
*a cura dei dipartimenti di Diritto penale e Diritto processuale penale della Fondazione AIGA Tommaso Bucciarelli e a firma degli avvocati Manuela Martinangeli, Luana Nigito, Giuseppe Murone, Elisa Davanzo e Salvatore Celso.

0 Comment